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Almet / Dei-chiari- giorni-della-fine

Teatro del Centro Studi Assenza, Milano 2010

Regia

Paolo Ferrari

Almet

Erika Carretta

Canto gregoriano

Aurora Gasparutti

Parole-­che-­cadono

Ako Atikossie

Installazione impermanente

Erika Carretta

Aurelio Colombo

Paolo Ferrari

ALMET LOC.png
Elementi di scena

Franco Bazzani

Costumi

Erika Carretta

Musica dell’Assenza

Paolo Ferrari

Ugo Brancato

Luci

Aurelio Colombo

Video

Patrizia Brighi

Paolo Ferrari

Almet / Dei chiari-­giorni-­della-fine è opera di teatro ove il teatro stesso s’interroga sulla propria origine, e sulla nascita della  parola.  Il  nascere di un teatro che è premessa alla nascita di un corpo - corpassente, dall’omonimo saggio-­poema (P. Ferrari, Saggio-poema del pensareassente, Anterem, 2008).

La condizione dell’umano e la sua trasformazione. L’essere gettati in un corpo che si fa assente, entra nel dolore e in tale dolore partecipa ad altro. Il corpo (l’umano) muta, trasmuta -­ o evolve - in una condizione ancora da scoprire.

Un corpo al femminile. Almet, la protagonista, entra ed esce da sé, si perde e si ritrova. Costantemente su una soglia data la quale può smarrirsi, precipitando in un nulla vorticoso, sconosciuto, terribile ma anche straordinario, di grande intensità, simile a una mancanza assoluta di mondo.

Un mondo che verrà. Alla scoperta di sé e della propria corporeità ignota, Almet sta per mutare in altro, in una dimensione  biologica-­psicologica  non  ancora  nota,  ma forse ancora del tutto felice qualora non commetta l’errore fatale, quello di cui ancora nulla si conosce.

Un luogo-­mancato si  va generando, come oggetto-­mancato. Teatro che si autogenera mancando di sé.

Un corpo-‐teatro. Corpo, teatro che ha una sua entità, una sua fisicità, ma che si stacca nettamente da quello che è la realtà quotidiana, pur non essendo un teatro onirico, e neppure un teatro surreale.

Le parole affidate sulla scena al canto gregoriano sono qui entità che si muovono tra la strofa-­poesia e la legge matematico-scientifica, tra la legge biologica e il microente filosofico. Parole come pietre -­ Microliti li chiamerebbe Celan. Microassenze inserite come delle pietre dure, dei brillanti, all’interno del procedere dell’attività pensante teatrale.

[…] Tutto mi sorprende… in me nascere e morire. Son qui… io in me… un’altra?
Nulla avverto e già mi ritrovo (scuote la testa più volte). Non mi sento quasi più,
da me esiliata eppur ci sono. (Pausa). Ed ecco Mancar. (Con una forte eco, come
una tremenda e illuminante scoperta. Pausa. Un sospiro prolungato). Mancar-di-me.
(Canto più dolce). Sono e non sono nell’essere in me. (Recitar cantando).

P. Ferrari, Almet/dei chiari-giorni-della-fine

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